[Articolo pubblicato sul numero di gennaio 2016 di TennisBest Magazine]
Ripensando all’Australian Open del 2015, le prime due scene che saltano in mente sono quelle di Novak Djokovic e Serena Williams che alzano al cielo i rispettivi trofei, ma ce n’è anche una terza, molto meno comune e per questo ancor più bella. È la storica vittoria di Andreas Seppi su Roger Federer, che compirà un anno il prossimo sabato. A Melbourne era pomeriggio, in Italia un venerdì mattina che grazie a quel 6-4 7-6 4-6 7-6 avrà per sempre una pagina importante nei libri del nostro tennis. Ce l’abbiamo ancora negli occhi: l’ultimo passante di diritto, l’emozione dell’angolo di Andy, il sorriso di Roger a rete. Qualcosa che gli appassionati non dimenticheranno mai. Seppi è stato l’unico italiano capace di battere Roger nel suo terreno preferito, i tornei del Grande Slam, ma non il solo azzurro ad aver chiuso a braccia alzate un match contro di lui. Nel suo lungo cammino verso la leggenda, da ragazzino fino a quando era già in vetta al ranking ATP, in singolare il campione di Basilea ha perso altre undici volte contro dei giocatori azzurri: dai più noti come Filippo Volandri e Andrea Gaudenzi, a gente come Davide Bramanti, Daniele Balducci o Diego De Vecchis. Dei perfetti sconosciuti al grande pubblico, ma che possono raccontare di aver battuto, almeno per una volta, il giocatore simbolo del loro sport. L’hanno fatto con noi.
1995 – DIEGO DE VECCHIS
Torneo ETA U14 Annecy (Francia) – 1° turno consolazione – 6-3 6-2
“Ricordo di aver detto ai miei compagni di trasferta: ‘menomale che gioco con Federer, forse una partita la vinco’”. A parlare è Diego De Vecchis, coetaneo di Roger, che lo trovò sulla propria strada nel 1995, al ‘Les Petits Princes’, torneo Tennis Europe under 14 che va ancora in scena ad Annecy, in Francia. “Perdemmo entrambi al primo turno del main draw, così finimmo nel tabellone di consolazione. Ero felice di affrontarlo, Roger giocava già molto bene ma commetteva un sacco di errori. Al tempo mi sentivo nettamente più forte”. In effetti, da under 14 il romano è stato fra i primi del mondo (insieme a gente come Hewitt, Rochus e Mathieu), e aveva ragione. Vinse il match 6-3 6-2, e poi pure il torneo di consolazione. “Ma il ricordo più curioso – racconta – è di un’altra partita con Roger, al Trofeo Bonfiglio del 1997. Ci affrontammo al primo turno delle qualificazioni. Persi il primo set 6-4, poi salii 6-1 4-1, ma il match girò di nuovo e arrivammo al tie-break. Sul 2-0 per lui, da fuori qualcuno ci gridò che al Bonfiglio al terzo set non era previsto il tie-break. Lo feci presente all’arbitro, ma ormai l’avevamo iniziato e l’abbiamo dovuto finire. Roger serviva meglio di me, e lo vinse lui”. Lo svizzero avrebbe poi superato le qualificazioni e raggiunto i quarti, iniziando a mostrare la stoffa del campione. De Vecchis, invece, non è mai entrato fra i primi 1.000 del ranking ATP e ha smesso ad appena 25 anni, arrendendosi all’ennesimo infortunio. Dopo l’addio ha cercato fortuna all’estero, insegnando per qualche tempo al Palm Beach Resort alla Maldive, mentre ora lavora come maestro al Tc Padova. “Tantissimi dei ragazzi che giocavano con noi da under sono arrivati in alto. Penso a Lopez, Robredo, Nalbandian, Youzhny, Melzer. È stata dura vedere che loro ci sono riusciti e noi no, forse siamo stati gestiti in maniera diversa dalla Federazione: al tempo facevano ancora qualche errore a livello strutturale”. E Federer? “L’ho rivisto nel 2006, anno della finale al Foro Italico contro Nadal. Arrivò a Roma al giovedì per prepararsi al torneo, e tramite Vittorio Selmi (allora tour manager dell’ATP, ndr) ci allenammo insieme. Si ricordava dei nostri match da ragazzini”.
1995 e 1996 – UROS VICO
Winter Cup U14 San Miniato (Pisa) – Finale 3°/4° posto – 6-4 6-2
Torneo ETA U16 Torino – Primo turno – 7-5 6-2
In Italia, lo scettro di anti-Federer appartiene al suo coetaneo Uros Vico, ex grande scommessa di Riccardo Piatti. Il romano di origini croate, numero 166 del mondo nel 2004 e oggi coach di Roberto Marcora al Tc Milano, è l’unico azzurro ad aver superato Roger per due volte: nel 1995 e nel 1996. La prima all’ormai scomparsa Winter Cup di San Miniato, una sorta di campionato a squadre under 14 per nazioni, che ha portato nel Pisano tutti i Fab Four e non solo. “Era la finale per il terzo posto, quindi non contava granché. Fu un match molto tranquillo, vinsi in due set (Federer tornò a casa con un bilancio di 0-10 fra singolare e doppio, ndr). Poi affrontai di nuovo Roger l’anno dopo, in un torneo ETA under 16 a Torino. La caratteristica principale di quel Federer era che con servizio e diritto riusciva già a lasciar fermi gli avversari, cosa molto rara a quell’età, in quanto tutti tendono a tenere un po’ di più. Lui invece giocava in maniera diversa dagli altri, cercava sempre il vincente, di diritto tirava proprio forte”. Però aveva anche delle lacune importanti. “Di rovescio faceva fatica, giocava spessissimo il back e sbagliava parecchio. Mi ricordo che vinsi quei match attaccandolo molto spesso sul rovescio e andando a rete. Era molto nervoso, a Torino spaccò anche una racchetta”. Insomma, di certo non ci si aspettava un uomo da 17 Slam. “Il fenomeno della nostra generazione era Olivier Rochus, che al tempo scherzava tutti. Federer era più indietro. Ma a 16/17 anni ha avuto un grande salto di qualità: quando lo affrontai di nuovo a fine 1998, per due volte in un Satellite in Svizzera, ci persi nettamente. Era cresciuto tantissimo”. Federer e Vico si sono incrociati di nuovo nel 2005, negli spogliatoi a Indian Wells. “Avevo giocato le qualificazioni ed ero lì con Ljubicic, che aveva perso negli ottavi proprio contro Roger”. Dopo il match, i due andarono insieme a fare un massaggio, e Vico si fermò con loro. “Chiacchierammo un po’, e Roger si ricordava di tutti i nostri incontri, anche di alcuni doppi che io avevo completamente rimosso. Invece di essere io a ricordarmi i match con lui, era il contrario. Incredibile”.
1997 – DAVIDE BRAMANTI
ITF under 18 Firenze – Primo turno – 6-4 3-6 7-6
“Quel giorno me lo ricordo perfettamente. Eravamo al torneo under 18 del Circolo Tennis Firenze. Dopo il sorteggio mi si avvicinò Giancarlo Palumbo, che seguiva noi giovani per conto della Federazione, mi prese sotto braccio e mi disse: ‘guarda Davide, non siamo stati tanto fortunati, giochi contro uno svizzero fortissimo’. Mi venne da ridere, e risposi ‘vediamo, domani si entra e si gioca’”. E Davide Bramanti, classe ‘79 da Pietrasanta, quel match lo giocò e vinse, al tie-break del terzo set. “Eravamo sul campo accanto alla club house, c’era un sacco di gente accorsa a vedere quel ragazzino di cui si parlava così bene. Ricordo Mario Belardinelli attaccato alla rete che mi incitava e gridava come un matto, sorvoliamo su ciò che mi diceva (ride, ndr). Fu una grande partita, giocai benissimo, mentre Federer in quel periodo era ancora un po’ nervoso, lanciava spesso la racchetta, faceva un po’ di show. Non potrò mai dimenticarmi il tie-break del terzo set: lo vinsi 7-0, con Roger che tirò sette missili fuori di almeno due metri, alcuni direttamente sul telo. Una cosa incredibile. Però si vedeva che ci sapeva fare, tanto che dopo un mese vinse a Prato”. Quel torneo fu il primo ITF under 18 finito nella bacheca di Federer, ma anche una grossa macchia nella crescita di Bramanti. “Giocavo contro il povero Luzzi, agli ottavi di finale, e praticamente mi spaccai una spalla. Mi dovetti operare, e da quel momento qualcosa è cambiato. E pensare che a detta dei maestri federali la classe ’79 poteva diventare la migliore nella storia del tennis azzurro: avevamo alcuni degli junior più forti del mondo”. In effetti c’era anche Florian Allgauer, forse la più grande speranza mai sbocciata del nostro movimento. Il biondo di Brunico ha smesso a 24 anni, mentre Bramanti, di fatto, non ha mai iniziato. E quel best ranking da numero 1.121 ATP grida vendetta. “Ho visto gente che battevo arrivare molto avanti, mentre io ho dovuto smettere pure con la serie A1 a Forte dei Marmi: problemi alla schiena. Mi dispiace per il tennis, ma pazienza. Oggi lavoro nell’agenzia immobiliare di mio padre, e sono felice così. Ho pur sempre battuto il più forte giocatore di tutti i tempi. Non sono in molti a poterlo dire”.
1997 – FILIPPO MESSORI
ATP Gstaad (Svizzera) – Primo turno qualificazioni – 5-7 7-5 7-6
Il rapporto fra Roger Federer e l’ATP di Gstaad è noto soprattutto per le due mucche ricevute in omaggio dagli organizzatori fra 2003 e 2013, mentre in pochi sanno che nel torneo sulle Alpi svizzere Roger ha giocato il primo match in carriera a livello ATP, a 16 anni ancora da compiere. Non risulta nemmeno nella sua activity sul sito ATP, ma gli archivi dell’ITF non mentono, e poi se lo ricorda molto bene anche lui. L’ha citato tre anni fa, in conferenza stampa. “La mia prima volta qui? Era il 1997, giocavo le qualificazioni. Persi 7-6 al terzo da un italiano”. Quell’italiano è Filippo Messori, modenese, best ranking 138 nel ‘96. L’abbiamo scovato sul sito web dell’LTC De Meent di Bussum, club a una ventina di chilometri da Amsterdam, dove lavora come maestro da quando circa tre anni fa è emigrato nei Paesi Bassi, dopo aver sposato una donna olandese. “Di quella partita – racconta – non mi ricordo praticamente nulla. Anzi, a dire la verità ho scoperto di aver giocato contro di lui un giorno di tanti anni fa, quando la mia carriera era già finita, guardando un suo match in tv. Il commentatore, non ricordo se Rino Tommasi o Giampiero Galeazzi, elencò i giocatori italiani capaci di battere Federer, e fece anche il mio nome. Non ci volevo credere: andai subito a controllare su internet, ed era tutto vero”. I due si sono rivisti oltre dieci anni dopo, nel ristorante romano di Vincenzo Santopadre. “Roger si ricordava perfettamente di aver giocato e perso contro di me. Si è rivelato una persona molto educata e simpatica”. Per un italiano che emigra all’estero e riprende quasi da zero, avere una vittoria con Federer sulla carta d’identità è sicuramente un buon biglietto da visita. “Da quando sono arrivato qui, nel giro di una settimana e senza che io dicessi nulla, lo sapevano tutti: la cosa impressiona molto i ragazzini. Sono contento di averlo battuto ed è una cosa piacevole, ma non va dimenticato che lui era un giovane all’inizio della sua splendida avventura tennistica, mentre io ero già piuttosto esperto. A me, a parte la soddisfazione, rimane il fatto di essermi divertito a girare il mondo per giocare a tennis, mentre lui ha scritto una pagina importante di questo sport, se non la più importante”.
1997 – DANIELE BALDUCCI
Satellite Svizzera 1, week 3, Sierre – Semifinale – 6-3 6-2
“Ricordo di aver chiamato la mia fidanzata la sera prima del match, dicendogli qualcosa come ‘domani gioco contro un ragazzino di undici anni in meno, se perdo potrebbe essere giunta l’ora di smettere’”. Dall’altra parte della cornetta c’è Daniele Balducci, ex top 200 oggi responsabile dell’attività dello Sporting Club Montecatini. A causa di qualche problema fisico, in quel 1997 era sceso in classifica, così a fine anno andò in Svizzera a disputare uno degli ormai scomparsi Satelliti: una sorta di mini circuito con tre tappe (paragonabili ai Futures attuali) più il Master finale. “Giocavamo indoor a Sierre, vicino a Crans Montana. Eravamo in semifinale, quindi significava che Federer era già un ragazzino molto valido, ma vinsi facilmente. Ricordo che lo stile di gioco era identico a quello attuale, ovviamente con le dovute proporzioni, visto che aveva appena 16 anni. In quel momento doveva fare il salto, ma era ancora un po’ insicuro. Peter Lundgren, il suo coach di allora, l’ha forgiato dal punto di vista mentale, facendolo maturare tantissimo. Credo sia stato fondamentale potersi allenare con lui”. Al tempo si intravedevano le qualità del futuro campione, ma nessuno avrebbe immaginato che sarebbe diventato il Roger Federer che conosciamo, nemmeno in Svizzera. “Non se lo aspettavano nemmeno loro, ricordo che non ci fu un’affluenza particolare di gente. Avevano un buon gruppo di giovani, Roger era la punta di diamante e mi pare fosse già campione europeo, ma non c’era chissà quale clamore attorno al suo nome. Ci sono un sacco di componenti che entrano in gioco, e poi ne abbiamo visti tantissimi di ragazzi fortissimi a 16 anni non riuscire a sfondare. Non tutti possono diventare numeri uno”. La curiosità? Balducci si qualificò per il Master grazie a una vittoria e due finali nelle tre tappe, ma nel torneo decisivo perse ai quarti. Contro? Severin Luthi. “Era inferiore rispetto a Federer, ma sempre un buon giocatore. Nel complesso conservo un bel ricordo di quel successo, anche se era abbastanza normale che vincessi io. Qualche mese prima ero nei top 200, mentre Roger aveva solo 16 anni. Mi ha fatto piacere vederlo arrivare dove è arrivato. È indubbiamente il mio preferito”.
1999 – LAURENCE TIELEMAN
Challenger Heilbronn (Germania) – Semifinale – 7-5 6-1
La prima semifinale di Federer a livello Challenger risale al 1999, allo storico evento di Heilbronn. Partito dalle qualificazioni, vinse sei match battendo solo avversari di livello, su tutti Stepanek, Pescosolido e Caratti. A vendicare i due italiani ci pensò un terzo, Laurence Tieleman, un (allora) 26enne di mamma romana e padre belga, nato a Bruxelles e cresciuto a Bradenton da Bollettieri, ma che giocava per l’Italia. “Ricordo che il match era stato programmato alla sera – racconta oggi da Miami, dove vive e si è laureato in psicologia – perché c’era molto interesse attorno a Federer. Avevo sentito parlare di lui, ma non l’avevo mai visto, così andai a seguire il suo match di quarti di finale. Aveva un timing eccezionale sul diritto, un servizio già efficace e in campo era molto elegante. Pensai che non sarebbe stato facile, ma notai che aveva qualche difficoltà col passante di rovescio”. Così, il giorno seguente attaccò molto (e bene) da quella parte, e vinse 7-5 6-1. “Era la mia unica chance di batterlo, non dovevo dargli ritmo, ogni volta che toccava la palla di diritto vinceva il punto. Ricordo che giocava con una Pro Staff da 85 pollici, la palla gli usciva dalle corde come un razzo. Il suo gioco era già completo, era un giocatore migliore rispetto ai teenager di oggi”. Dopo il match, Peter Lundgren andò da Tieleman a complimentarsi per la strategia. “E io gli dissi che quel giovane sarebbe diventato molto forte. Ma non mi sarei mai aspettato diventasse colui che, secondo me, è il migliore di sempre”. La settimana dopo Roger giocò l’ATP di Marsiglia e batté Carlos Moya, numero 5 ATP. “È stato l’inizio di una carriera incredibile”. Quella di Tieleman, invece, è finita tre anni dopo, con un best ranking da numero 76 e una finale al Queen’s come miglior risultato. “Poi ho voltato pagina. Ho speso molto tempo nel business di famiglia: ‘Nonna Nini’, un bar ristorantino gestito da mia cognata ad Assisi, di cui vado molto fiero. Ora invece, oltre a dare una mano alla squadra della University of Miami, aiuto mio fratello Henri-James nella sua compagnia: Ecoloblue, di cui è co-proprietario con Wayne Ferreira (ex n.6 ATP, ndr). La società si occupa di macchine che producono acqua potabile partendo dall’umidità dell’aria”.
1999 – GIANLUCA POZZI
1°T WG Davis Cup – SUI-ITA, Neuchatel – Ultimo singolare – 6-4 7-6
Un italiano nel suo primo match ATP, un italiano nella sua prima semifinale Challenger, e un italiano (anzi, due) anche nel suo esordio in Coppa Davis, nel 1999 al Patinoires du Littoral di Neuchâtel, Svizzera francese. È il primo turno del Gruppo Mondiale, e la nazionale elvetica dell’allora ct Claudio Mezzadri chiude i conti già al sabato, anche grazie alla vittoria in quattro set di Federer su Sanguinetti. Roger salta il doppio ma torna in campo alla domenica, nell’ultimo match, contro Gianluca Pozzi. “Giocammo a risultato acquisito – racconta il 50enne barese, numero 40 del mondo a 36 anni e oggi maestro all’Accademia Tennis Bari, dopo una lunga parentesi in Lombardia – ma in Coppa Davis non vuole mai perdere nessuno. Roger era già noto al grande pubblico, aveva raggiunto i quarti di finale in un evento importante come Marsiglia, e nella prima giornata batté Sanguinetti. Che fosse forte di sapeva, ma anche se la fase in cui si perdeva un po’ l’aveva già superata, aveva comunque 18 anni, era un pochino irregolare”. Quel tanto che è bastato al mancino pugliese per batterlo, 6-4 7-6. “Ricordo un match teso, lottato. Andai sotto di un break, ma lo recuperai e vinsi di misura. Poi ci giocai un annetto dopo a Copenaghen, e persi 6-3 al terzo. Era cresciuto molto, e poi è andato sempre più su. Mi è capitato talvolta anche di frequentarlo ai tornei, ci siamo allenati insieme alle Olimpiadi di Sydney nel 2000. Magari diceva qualche cazzata in più, ma nonostante fosse giovane, come giocatore era già maturo ai tempi”. Eppure, ad altissimi livelli i suoi coetanei come Hewitt e Ferrero (anche se quest’ultimo ha un anno in più) ci sono arrivati prima. “Credo ci abbia messo un tantino di più a causa del suo gioco molto più vario. Da una parte è ovviamente un vantaggio, però bisogna capire quando fare determinate cose, non è semplicissimo. Tuttavia, si vedeva che sarebbe diventato uno dei più forti. Impossibile dire quanto, perché entrano in gioco tantissime componenti, e dipende anche dall’evoluzione mentale della persona. Lui è andato sempre migliorando. Non si arriva a certi livelli se, sportivamente parlando, non si ha una mente fuori dalla norma. Come lui, come Sampras”.
2002 – DAVIDE SANGUINETTI
ATP Milano – Finale – 7-6 4-6 6-1
Il rapporto con l’Italia del giovane Federer proseguì con il suo primo titolo ATP, nel 2001, al tanto rimpianto evento indoor di Milano. Lo stesso dove arrivò in finale anche dodici mesi dopo, arrendendosi a sorpresa a un Davide Sanguinetti in grande spolvero. “Fu una finale tutt’altro che scontata – racconta oggi Cino Marchese, ex manager IMG che spinse (con successo) per riportare il grande tennis a Milano – perché non era previsto che Sanguinetti arrivasse fino in fondo. Ma era in un momento magico, riuscì a giocare un tennis meraviglioso e meritò quel titolo”, il primo in carriera per l’allora 29enne Viareggino, poi salito fino alla posizione numero 42. “Un risultato anomalo, ma ogni tanto nella sua carriera Federer è incappato in queste giornate un po’ così, nelle quali perde dei match da vincere. Scherzando, un giorno glielo dissi: ‘mi fai incazzare quando perdi certi punti’. ‘Sei come mio padre’, mi rispose”. Non è un caso che Federer del torneo del PalaLido ricordi sempre con molto piacere l’edizione 2001, vinta in finale contro Boutter, ma di quella del 2002 non dica mai nulla. “E ci credo, dopo la sconfitta si sarebbe ammazzato. Tuttavia è rimasto un episodio: Federer è diventato uno dei più grandi della storia, per trovare uno come lui bisogna tornare ai tempi di Rod Laver, mentre Sanguinetti non è andato molto più in là”. Oggi ‘Dado’ allena il cinese Di Wu, che si è brillantemente qualificato per l’Australian Open, mentre il futuro di Roger lo conosciamo tutti. E Marchese, 79 anni da compiere a novembre ma una vitalità da ragazzino, fu uno dei primi a capire come sarebbe andata. “Sono stato per tanti anni a capo del gruppo di recruiting di IMG, quando l’azienda era ben strutturata in tutti i paesi. Ricordo che andavamo all’Orange Bowl con i rappresentati delle varie nazioni, e quando vedemmo per la prima volta Federer non esitammo un attimo a capire che sarebbe diventato un grandissimo”. Tanto che poi, qualche anno dopo, a Milano decise di investire proprio su di lui. “Insistetti con Franco Bartoni (l’allora direttore del torneo, ndr) per portare Roger a Milano, offrendo allo svizzero una piccola garanzia. Lo assicurai che sarebbe diventato un giocatore molto importante”.
2002 – ANDREA GAUDENZI
Internazionali d’Italia, Roma – Primo turno – 6-4 6-4
“Personalmente, ritengo che lo svizzero, prima o poi, vincerà Wimbledon”, scriveva Gianni Clerici nel suo pezzo dell’8 maggio 2002 sulle pagine di Repubblica. Lo svizzero in questione, ovviamente, è Roger Federer, che il giorno prima aveva salutato al primo turno gli Internazionali d’Italia, battuto 6-4 6-4 da Andrea Gaudenzi. Il commento dello Scriba la dice lunga: era già il Federer che conosciamo noi o quasi, tanto che la settimana successiva avrebbe vinto ad Amburgo il suo primo Masters Series. Ma Gaudenzi, nonostante una piccola contrattura alla coscia, sfornò quella che al tempo definì la sua “miglior prova dell’anno”, accorciando gli scambi, penetrando col diritto e spedendo il giovane Federer a casa all’esordio. “Sono passati quasi 14 anni – spiega da Londra il 42enne faentino, numero 18 ATP nel 1995 – e sinceramente non ho particolari memorie di quell’incontro. Ricordo che di Federer si parlava benissimo, era già numero 5 del mondo (in realtà 11 ma poco cambia, ndr) e aveva una grande facilità di gioco, era veloce fisicamente e molto equilibrato. Che sarebbe diventato un campione Slam si sapeva. Ma, come diceva Ivan Lendl di Pete Sampras, si poteva vedere come colpiva la palla, non leggergli la mente. Bisogna tenere un livello altissimo per tanti anni, e lui ci sta riuscendo”. Quel martedì, a Roma il pubblico non dovette nemmeno scaldarsi più di tanto: il dottor Gaudenzi (è laureato in giurisprudenza) controllò dall’inizio alla fine, lasciando una sola palla-break. “Fu un match talmente tranquillo che non si prestava nemmeno a chissà quale baccano. Ricordo il match-point, una risposta vincente lungo linea col diritto. Qualcosa che non mi capitava molto spesso (ride, ndr)”. Gaudenzi e Federer si sono rivisti qualche anno dopo, in ambito calcistico. “Non ricordo se era il 2007 o il 2008, a un match di Champions League del Real Madrid. Io lavoravo per un’azienda che sponsorizzava la squadra, mentre lui era fra gli ospiti. Ci siamo incrociati fra primo e secondo tempo nella saletta hospitality, e abbiamo fatto qualche chiacchiera. ‘Lo sai che sei 1-0 sotto contro di me?’, gli dissi. ‘Certo’, mi rispose ridendo. ‘Io non dimentico nessuna partita’. Sempre preciso, gentile e molto cortese”.
2007 – FILIPPO VOLANDRI
Internazionali d’Italia, Roma – Ottavi di finale – 6-2 6-4
“Il pubblico mi vedrà sputare sangue, anche dovessi perdere 6-2 6-2”. Parola di Filippo Volandri, alla vigilia del suo match contro Roger Federer negli ottavi di finale del Masters Series di Roma, maggio 2007. Per il nostro tennis si annunciava come la peggiore edizione da anni, con nessun azzurro in tabellone per diritto, ma una delle quattro wild card regalò al pubblico del Foro Italico una favola indimenticabile. Volandri, numero 1 d’Italia ma fuori dai top 50, batté prima Gabashvili e poi Gasquet, presentandosi carico a molla contro Federer. E vicino a perdere 6-2 6-2 ci andò il numero uno del mondo, che con 44 errori gratuiti si arrese in 78 minuti, offrendo all’Italia maschile la quarta vittoria di sempre contro il leader della classifica ATP. Ma se quando Panatta batté Connors per due volte erano altri tempi, e quando Pozzi superò Agassi al Queen’s il match terminò col ritiro dello statunitense, il livornese (coetaneo di Roger) ha potuto godersi la libidine del match-point, nel posto più bello in cui un italiano possa sognare di battere il più forte. “Colpa mia, ma anche merito di Filippo”, l’omaggio del numero uno del mondo. “Mi ha reso le cose complicate sin dall’inizio, non ha sbagliato nulla. Giusto criticare la mia prestazione, ma di là dalla rete c’era un avversario che ha fatto il suo dovere alla perfezione”. “Io ho disputato la partita perfetta – raccontò invece Filippo al microfono RAI di Giampiero Galeazzi – facendogli colpire tante palle alte e cariche. Ho giocato sempre a due centimetri dalla riga, serviva il 110% e oggi l’ho fatto”. E poi ancora in conferenza stampa: “Ho messo tutto me stesso in ogni palla che ho giocato. L’avevo detto che avrei sputato sangue, e così è stato. Ero entrato in campo tranquillo perché sapevo di non aver niente da perdere, ma la tranquillità è andata via a metà del secondo set, quando mi sono reso conto che lo stavo battendo”. Memorabile il suo giro di campo nel vecchio Centrale, a dare il cinque a tutti i tifosi della prima fila, rosso di terra battuta per essersi lasciato cadere sul campo quando l’ultimo diritto di Roger è morto in rete, facendo esplodere il pubblico romano. “Battere Federer è un sogno e non pensavo potesse accadere”. E invece…
Diego De Vecchis
Uros Vico
Davide Bramanti
Filippo Messori (a destra)
Daniele Balducci
Laurence Tieleman
Gianluca Pozzi
Davide Sanguinetti
Andrea Gaudenzi
Filippo Volandri